"La conoscenza universale può
essere rivelata solo ai nostri fratelli che hanno affrontato le
nostre stesse prove. La verità va dosata a misura dell’intelletto,
dissimulata ai deboli, che renderebbe pazzi, nascosta ai malvagi, che
solo potrebbero afferrarne qualche frammento di cui farebbero arma
letale. Racchiudila nel tuo cuore, e che essa parli attraverso le tue
opere. La scienza sarà la tua forza; la fede la tua spada; e il
silenzio la tua corazza impenetrabile."
Ermete Trimegisto (tre volte Grande) è
una figura mitica nata dall’identificazione del greco Hermes (che
diverrà poi Mercurio) con il più antico Ermete Thoth, il
"misterioso e primigenio iniziatore dell’Egitto alle sacre
dottrine".
Fu anche indicato quale patriarca indiscusso della Scienza Alchemica.
Ermete è dunque un nome che ritorna più volte nella tradizione filosofico-spirituale della nostra cultura, trattandosi di qualcuno che "presiede alla regione ultraterrena dell’iniziazione celeste", quell’iniziazione cui numerosi eletti si sono avviati alla ricerca del loro vero Sè.
Possiamo oggi riconoscerlo, ed è in questi termini che qui lo incontriamo, quale archetipo dell’evento mistico stesso: Ermete come colui che ha più volte incarnato, in tempi differenti, l’incontro-rivelazione tra umano e divino, lasciandone intuire l’originaria ed essenziale consustanzialità.
Se è vero che c’è un filo invisibile che unisce le varie manifestazioni dello spirito nel corso dei millenni, per quanto esse permangano per lo più misteriose, Ermete è "il talismano che le riassume, il suono magico che le evoca".
Non è casuale il riferimento originario all’antico Egitto, culla della più antica e per molti versi ancor oggi misteriosa conoscenza esoterica, che ha raccolto le rivelazioni di quella sapienza profonda e segreta tramandata solo tra iniziati, che confluì nella più tarda dottrina che fu detta "ermetica".
Potrebbe allora risultare particolarmente significativa un’ipotesi etimologica che collega Ermete al copto "Ermeth" che significa "Essere Vero" (da "Er" essere e "Meth" verità).
Già nella tradizione religiosa dell’antico Egitto si fa riferimento a differenti personaggi chiamati Ermete.
Il primo fu "innanzi a tutte le cose", comprese egli solo la natura del Demiurgo e depose tale conoscenza in scritti che furono a lungo tenuti celati. Cooperò alla creazione dei corpi da congiungere alle anime, aggiungendovi tra l’altro l’amore del vero.
"Comunicò la scienza a Camefi, avo di Iside e Osiride ed a questi concesse di penetrare negli arcani suoi scritti, parte dei quali serbarono per sè, parte scolpirono su colonne, come regola alla vita degli uomini.
Quelle prime scritture furono poi tradotte in lingua comune dal secondo Ermete, inventore della scrittura, della grammatica, dell’astronomia, della geometria, della medicina, della musica, dell’aritmetica, della religione e di tutte le arti".
La tradizione gnostica accenna più esplicitamente al significato del termine Trimegisto nel senso di "tre volte incarnato".
Si tratterebbe cioè della triplice incarnazione in Egitto del medesimo personaggio, Ermete, che sempre visse filosoficamente, dedito alla conoscenza, il quale nel corso della sua terza vita, grazie ai meriti accumulati nelle due precedenti, si "ricordò di se stesso" o meglio "riconobbe se stesso". Accadde cioè che, mediante "un atto straordinario e illuminatore di reminiscenza che gli rivelò la sua identità e la sua origine trascendenti", Ermete riprese coscienza e possesso del suo autentico "io", e contemporaneamente "seppe" con certezza che sarebbe tornato al mondo superiore da cui era venuto, "al luogo intellegibile in cui si trovava primitivamente".
Poco importa a questo punto sapere a quale epoca storica precisamente risalgano i numerosi scritti attribuiti ad Ermete Trimegisto, tutti rinvenuti in lingua greca: certo è ch’essi sono accomunati da un pensiero che attinge ad un’esperienza mistico-spirituale.
Nei suoi discorsi ad Asclepio, suo discepolo, Ermete parla di Dio come inconoscibile, invisibile, incorporeo; tuttavia "egli può, in verità, concedere a qualche eletto la facoltà di innalzarsi al di sopra delle cose naturali, così da percepire un barlume della sua somma perfezione".
Afferma quindi essere la "percezione spirituale" la base di ogni conoscenza esoterica.
Il mondo antico affidava questa esperienza al rito iniziatico, cui erano ammessi gli adepti che se ne mostravano degni: essi dovevano sottoporsi a prove che ne sondavano le attitudini fisiche, morali ed intellettuali.
L’iniziazione coinvolgeva l’individuo in tutta la sua interezza, risvegliava le sensibilità sopite dell’anima inducendo l’adepto a mettersi in contatto cosciente con le forze occulte dell’universo, ri-conoscendo la propria vera natura attraverso la percezione spirituale diretta.
Ermete era figura guida in questo percorso iniziatico: ne troviamo testimonianza diretta nella "Visione di Ermete", scritto attribuito ad Ermete Trimegisto e giunto fino a noi col titolo "Il Pimandro, ossia l’intelligenza suprema che si rivela e parla".
Vi si narra di come un giorno, mentre era in meditazione, ad Ermete comparve un essere immenso che si presentò a lui dicendo:
"Io sono Pimandro, l’Intelligenza suprema" e subito egli ebbe una visione prodigiosa del Tutto.
"Ascolta: quello che in te vede e intende è il Verbo, la parola di Dio; l’intelligenza è il Dio Padre. Essi non sono separati poichè l’unione è la loro vita." E ancora: "Comprendi dunque la luce e conoscila".
"A queste parole - prosegue Ermete - egli mi fissò a lungo ed io tremai nel guardarlo. E ad un cenno di lui vidi nel mio pensiero la luce e le sue potenze innumerevoli, il mondo infinito prodursi e il fuoco, mantenuto da una forza immensa, arrivare al suo equilibrio. Ecco quel che compresi guardando attraverso la parola di Pimandro".
Questa esperienza fu all’origine della conoscenza di Ermete, che egli testimoniò, sicchè di lui fu detto:
"Ermete vide la totalità delle cose e, vistala, comprese; e con la comprensione acquisì la forza di testimoniare e rivelare. Mise per iscritto il suo pensiero e occultò gran parte dei suoi scritti, a volte saggiamente tacendo, a volte parlando, così che in avvenire il mondo continuasse a cercare queste cose. E, comandato agli dei suoi fratelli di fargli da corteo, ascese alle stelle".
Fu anche indicato quale patriarca indiscusso della Scienza Alchemica.
Ermete è dunque un nome che ritorna più volte nella tradizione filosofico-spirituale della nostra cultura, trattandosi di qualcuno che "presiede alla regione ultraterrena dell’iniziazione celeste", quell’iniziazione cui numerosi eletti si sono avviati alla ricerca del loro vero Sè.
Possiamo oggi riconoscerlo, ed è in questi termini che qui lo incontriamo, quale archetipo dell’evento mistico stesso: Ermete come colui che ha più volte incarnato, in tempi differenti, l’incontro-rivelazione tra umano e divino, lasciandone intuire l’originaria ed essenziale consustanzialità.
Se è vero che c’è un filo invisibile che unisce le varie manifestazioni dello spirito nel corso dei millenni, per quanto esse permangano per lo più misteriose, Ermete è "il talismano che le riassume, il suono magico che le evoca".
Non è casuale il riferimento originario all’antico Egitto, culla della più antica e per molti versi ancor oggi misteriosa conoscenza esoterica, che ha raccolto le rivelazioni di quella sapienza profonda e segreta tramandata solo tra iniziati, che confluì nella più tarda dottrina che fu detta "ermetica".
Potrebbe allora risultare particolarmente significativa un’ipotesi etimologica che collega Ermete al copto "Ermeth" che significa "Essere Vero" (da "Er" essere e "Meth" verità).
Già nella tradizione religiosa dell’antico Egitto si fa riferimento a differenti personaggi chiamati Ermete.
Il primo fu "innanzi a tutte le cose", comprese egli solo la natura del Demiurgo e depose tale conoscenza in scritti che furono a lungo tenuti celati. Cooperò alla creazione dei corpi da congiungere alle anime, aggiungendovi tra l’altro l’amore del vero.
"Comunicò la scienza a Camefi, avo di Iside e Osiride ed a questi concesse di penetrare negli arcani suoi scritti, parte dei quali serbarono per sè, parte scolpirono su colonne, come regola alla vita degli uomini.
Quelle prime scritture furono poi tradotte in lingua comune dal secondo Ermete, inventore della scrittura, della grammatica, dell’astronomia, della geometria, della medicina, della musica, dell’aritmetica, della religione e di tutte le arti".
La tradizione gnostica accenna più esplicitamente al significato del termine Trimegisto nel senso di "tre volte incarnato".
Si tratterebbe cioè della triplice incarnazione in Egitto del medesimo personaggio, Ermete, che sempre visse filosoficamente, dedito alla conoscenza, il quale nel corso della sua terza vita, grazie ai meriti accumulati nelle due precedenti, si "ricordò di se stesso" o meglio "riconobbe se stesso". Accadde cioè che, mediante "un atto straordinario e illuminatore di reminiscenza che gli rivelò la sua identità e la sua origine trascendenti", Ermete riprese coscienza e possesso del suo autentico "io", e contemporaneamente "seppe" con certezza che sarebbe tornato al mondo superiore da cui era venuto, "al luogo intellegibile in cui si trovava primitivamente".
Poco importa a questo punto sapere a quale epoca storica precisamente risalgano i numerosi scritti attribuiti ad Ermete Trimegisto, tutti rinvenuti in lingua greca: certo è ch’essi sono accomunati da un pensiero che attinge ad un’esperienza mistico-spirituale.
Nei suoi discorsi ad Asclepio, suo discepolo, Ermete parla di Dio come inconoscibile, invisibile, incorporeo; tuttavia "egli può, in verità, concedere a qualche eletto la facoltà di innalzarsi al di sopra delle cose naturali, così da percepire un barlume della sua somma perfezione".
Afferma quindi essere la "percezione spirituale" la base di ogni conoscenza esoterica.
Il mondo antico affidava questa esperienza al rito iniziatico, cui erano ammessi gli adepti che se ne mostravano degni: essi dovevano sottoporsi a prove che ne sondavano le attitudini fisiche, morali ed intellettuali.
L’iniziazione coinvolgeva l’individuo in tutta la sua interezza, risvegliava le sensibilità sopite dell’anima inducendo l’adepto a mettersi in contatto cosciente con le forze occulte dell’universo, ri-conoscendo la propria vera natura attraverso la percezione spirituale diretta.
Ermete era figura guida in questo percorso iniziatico: ne troviamo testimonianza diretta nella "Visione di Ermete", scritto attribuito ad Ermete Trimegisto e giunto fino a noi col titolo "Il Pimandro, ossia l’intelligenza suprema che si rivela e parla".
Vi si narra di come un giorno, mentre era in meditazione, ad Ermete comparve un essere immenso che si presentò a lui dicendo:
"Io sono Pimandro, l’Intelligenza suprema" e subito egli ebbe una visione prodigiosa del Tutto.
"Ascolta: quello che in te vede e intende è il Verbo, la parola di Dio; l’intelligenza è il Dio Padre. Essi non sono separati poichè l’unione è la loro vita." E ancora: "Comprendi dunque la luce e conoscila".
"A queste parole - prosegue Ermete - egli mi fissò a lungo ed io tremai nel guardarlo. E ad un cenno di lui vidi nel mio pensiero la luce e le sue potenze innumerevoli, il mondo infinito prodursi e il fuoco, mantenuto da una forza immensa, arrivare al suo equilibrio. Ecco quel che compresi guardando attraverso la parola di Pimandro".
Questa esperienza fu all’origine della conoscenza di Ermete, che egli testimoniò, sicchè di lui fu detto:
"Ermete vide la totalità delle cose e, vistala, comprese; e con la comprensione acquisì la forza di testimoniare e rivelare. Mise per iscritto il suo pensiero e occultò gran parte dei suoi scritti, a volte saggiamente tacendo, a volte parlando, così che in avvenire il mondo continuasse a cercare queste cose. E, comandato agli dei suoi fratelli di fargli da corteo, ascese alle stelle".
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